DAGOGAMES BY FEDERICO ERCOLE - SU PLAYSTATION E MICROSOFT WINDOWS C’È "SOLAR ASH", OPERA NUOVA DI HEART MACHINE, UN VIAGGIO VERTIGINOSO E LISERGICO ATTRAVERSO LA CORRUZIONE COSMICA DI UN BUCO NERO - VISIONARIO ED ECCENTRICO MALGRADO I SUOI ISPIRATI OMAGGI ALLA STORIA DEL VIDEOGAME, È UN’ESPERIENZA DENSA E CONCISA, UNA FANTASCIENZA ALIMENTATA DALLA VISIONE, DAI SUONI E DALLE MUSICHE - VIDEO

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Federico Ercole per Dagospia

 

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Contemplare immoti gli spazi alieni inghiottiti nell’ultravuoto di un buco nero -meschini pianeti risucchiati e digeriti come gli insetti nell’ascidio di una pianta carnivora- è un atto della visione che genera sgomento nella decadente galassia virtuale e ludica di Solar Ash, opera nuova di Alx Preston e gli Heart Machine, già  responsabili di quel capolavoro sulla malattia che è Hyper Light Drifter.

 

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Si tratta di uno sgomento, un attonito stupore, che deriva dall’osservazione di qualcosa di terribile, incomprensibile e al contempo sublime. Uno sgomento quindi nella sua accezione romantica, come nella pittura di Caspar David Friedrich, che si esperisce quando chi gioca nel corpo della protagonista si ferma e fissa gli occhi sul panorama stravolto e ignoto.

 

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Tuttavia in uno slancio futurista Heart Machine ci consente di annullare il romantico sgomento attraverso la velocità del movimento con cui possiamo (e dobbiamo) esplorare gli innumerevoli luoghi del gioco, negando una stasi che significherebbe sconfitta, illudendoci che l’accelerazione cinetica possa ripristinare uno “spazio e un tempo già morti”. Giocare a Solar Ash può apparire quindi, oltre la sua fantascienza, l’allegoria elettronica di un dissidio tra correnti letterarie e artistiche, la contemplazione del romanticismo e l’azione del futurismo.

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Distribuito in digitale da Annapurna su PlayStation e Microsoft Windows, Solar Ash è una corsa vertiginosa e disperata contro la fine di tutto, laddove il tutto forse è già finito, un viaggio lisergico nel quale sfilano i ricordi allucinati e meravigliosi di Sonic The Hedgehog, Super Mario Galaxy, Shadow of the Colossus.

 

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CORRERE PER L’ULTRAVUOTO

Siamo Rei, una “voidrunner” ovvero una corritrice del vuoto addestrata per percorrere le superfici anomale del buco nero e infine azionare lo Starseed una macchina con funzioni salvifiche per il suo pianeta minacciato dal micidiale corpo celeste.

 

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Ci muoviamo a grande velocità con una sorta di fluida pattinata, salvo fermarci o rallentare raramente, poiché attività quasi superflua, per studiare eventuali percorsi, per conversare,  o riposare lo sguardo in una ritrovata, soccombente, romantica quiete. 

 

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Trascorriamo lesti per gli spazi desertici, fungosi, metropolitani o boscosi di mondi defunti, affastellati uno sull’altro nell’indecifrabile caos della curvatura. Si tratta di luoghi dalle forme confuse e distorte, vago e struggente ricordo di un vitale passato, ambienti piegati da una gravità la cui orribile intensità si identifica come malvagia in maniera assoluta. E alterati, dal dolore, dalla follia e dal terrore sono i personaggi che incontriamo durante il viaggio, rappresentanti catatonici o logorroici di civiltà annientate. 

 

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Utilizziamo una fune lucente per attaccarci a remoti appigli, alteriamo il tempo e combattiamo con una lama eterea nemici che ricordano le forme oniriche e ombrose di quelli di Kingdom Hearts. C’è inoltre una narrazione canonica, al contrario di Hyper Light Drifter, condotta attraverso dialoghi e registrazioni, un racconto che può apparire convenzionale e assai meno efficace per edificare l’immaginario che le immagini, le azioni e le musiche sebbene in realtà non sia così, poiché quelle parole stralunate si adeguano al senso di instabilità che domina tutto il videogame. 

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C’è senza dubbio una bellezza in Solar Ash, ma di una qualità strana, disumana, utile ad esprimere l’insensatezza apparente di spazi che si possono decifrare e percorrere solo con una super cinetica.

 

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L’OMBRA DEI COLOSSI

I segmenti di gioco più esaltanti di Solar Ash sono gli scontri con le creature gigantesche dette Vestigia, lotte titaniche che ricordano senza dubbio l’epica di Shadow of the Colossus, ma dalle meccaniche ludiche assai differenti perché fondate sulla velocità e la precisione di movimento. Si naviga il corpo immane dei mostri attaccando durante il percorso un punto debole dopo l’altro, alimentando immagini quasi astratte nel disordine spettacolare delle prospettive.

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Ma è sufficiente un errore, una confusione della durata di un battito di ciglia, per fallire e ripetere tutta la frenetica azione. Non temiate tuttavia, Solar Ash si rivela permissivo, facendoci ritentare subito e senza Game Over (ci sono disseminati “curativi” ovunque) la rapida corsa sulla creatura, finché non memorizziamo alla perfezione il percorso giungendo così alla vittoria. 

 

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Visionario ed eccentrico malgrado i suoi ispirati omaggi alla storia del videogame, Solar Ash è un’esperienza densa e concisa, una fantascienza alimentata dalla visione, dai suoni e dalle musiche più che suggerita dalle parole. 

 

Solar Ash è distante, per la sua forma tridimensionale e per il modo di farsi giocare, da Hyper Light Drifter; eppure l’opera novella di Heart Machine è così vicina a quest’ultimo per l’estetica e per i contenuti, poiché anche qui si racconta di una terribile malattia, cosmica e universale. 

 

 

 

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